“Quel rimedio è solo un palliativo”. Troppe volte si sentono frasi come questa. In Italia il termine palliativo viene molto spesso accomunato con il termine placebo che così è definito nell’enciclopedia Treccani: “… preparazione a base di sostanza inerte che viene somministrata soprattutto per gli effetti psicologici che può avere sul paziente…” quindi, riassumendo, un qualcosa che non cura
Palliativo, invece, deriva dal latino pallium, mantello, e ben rappresenta l’azione “avvolgente” che le CPP svolgono facendosi carico dei bisogni del malato e del nucleo familiare.
Le CPP sono espressione di una concezione olistica della medicina che non confina la cura nell’unica prospettiva della guarigione, ma fa proprio il concetto ben più alto e complesso del prendersi cura dell’individuo. L’obiettivo terapeutico, infatti, è il miglioramento della qualità di vita, il sollievo dei sintomi e il soddisfacimento delle aspettative e dei bisogni del minore e dei suoi famigliari.
Non fermandosi esclusivamente alla cura del sintomo ma adoperandosi per il benessere del paziente, l’intervento palliativo assume un significato completamente opposto a quello limitato e insufficiente erroneamente attribuitogli.
Le CPP ci aiutano anche a riscoprire il senso originario dell’essere medico: curare con competenza e professionalità, rispettare le scelte e i desideri della persona malata, stabilire una corretta relazione tra medico e paziente. Saper accettare che, a volte, è necessario sospendere trattamenti invasivi e sproporzionati rispetto ai benefici che portano, non è considerato un fallimento ma, al contrario, significa assicurare cure rispettose nel migliore interesse del bambino.
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